Guadagnolo


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Area Archeologica Prenestina

Storia

Il Patrimonio storico e archeologico dei Monti Prenestini
di Zaccaria Mari

L'area dei monti Prenestini è coperta quasi integralmente dalla Carta Archeologica d'Italia.
Anche se le ricerche risalgono al 1966-1970 e necessitano quindi di aggiornamenti, il quadro del popolamento di età romana, quanto a localizzazione, tipologia e funzione degli insediamenti, rimane sostanzialmente valido. Solo poche segnalazione si hanno invece per il periodo preistorico e protostorico, a causa anche della difficoltà di perlustrare una zona interamente montuosa. Un riparo in grotta con utensili del Paleolitico superiore è stato segnalato presso Guadagnolo; fra Poli e Guadagnolo fu rinvenuta un'ascia a margini rialzati dell'antica età del Bronzo (Roma, Museo Pigorini); sempre presso Guadagnolo è stato identificato un insediamento di pastori con ceramica dell'età del Ferro. Piccoli villaggi capannicoli, occupati stagionalmente, dovettero esistere in tutta l'area, poiché le rotte di transumanza (rivolte verso la Campagna Romana, i colli Albani e l'agro Prenestino-Labicano) sono rimaste in uso fino in epoca recente. Sulle alture venivano sfruttati come pascoli estivi pianori e dolci pendii (come le Prata di Guadagnolo), arricchiti da copiose sorgenti. Più rari sono i tratturi che scendono dal ripido versante Est, tra cui quello per il passo del Pratarone verso i monti Ruffi. La pastorizia, e più in generale l'economia silvo-pastorale basata sullo sfruttamento del bosco e l'allevamento brado, continuò anche nel periodo romano, quando i i monti Prenestini furono circondati da una serie di ville rustiche. Villaggi di sommità, paragonabili a quelli rinvenuti sui monti Tíburtini costituiti da una spianata di pietrame con capanne coperte a tetto, databili in tutto l'arco dell'età repubblicana, esistevano in gran numero anche sui Prenestini, come quello al piano S. Angelo presso Capranica Vecchia. Tema suscettibile di approfondimento è quello dei terrazzamenti simili a maceroni che la foto aerea, più che l'osservazione diretta, rivela disposti su più linee parallele nelle zone acclivi; in genere si tratta di muri di sostegno abbastanza recenti utilizzati per una grama agricoltura di sussistenza, ma in qualche caso possono anche risalire ad età antica ed essere collegati alla pastorizia o ad esigenze strategiche. Per l'età protostorico-arcaica si conoscono solo due centri abitati all'estremità Sud-Ovest e Nord-Est del massiccio montuoso:
Praeneste e Trebula Suffenas. Della prima è compresa nel Parco la scenografica fortifícazione di Castel San Pietro Romano che dalla città bassa di Palestrina sale con due bracci di muro in opera poligonale fino a racchiudere la sommità del monte Ginestro (m. 752). Il più conservato è il braccio Est che iniziava dalla porta Sole (m. 470) di Praeneste e recava cinque porte; quello Ovest, intersecato dalla strada moderna, presenta i resti di una porta ogivale paragonabile a quella di Arpino. La cinta, lunga in totale km. 4,500, viene comunemente datata al V-IV sec. a.C., ma in base a tratti di fattura più rozza nella parte alta è stata riportata anche al VII-VI secolo. In ogni caso la fortificazione, su un formidabile pendio strategico dominante la via «etrusca» per la Campania che imboccava dopo Praeneste la valle del Sacco, è sicuramente molto antica e subì restauri fino al Il sec. a.C. Nel Medioevo la funzione di aree preromana è stata perpetuata dalla rocca dei Colonna fondata dopo il 970 nel punto più alto (m. 763). Sulle mura poligonali insiste anche la chiesetta della Madonna degli Angeli romitorio secondo la tradizione delle sante Irundine, Romula e Redenta dell'epoca di Gregorio Magno. A Nord di Palestrina è forse da ricercare qualcuno dei nove «oppída» o roccheforti (Lív. VI, 29) di cui Praeneste si servì durante la guerra latina contro Roma; sembrano da escludere i centri di Rocca di Cave, Poli, Casape, S. Gregorio che non hanno rivelato resti anteriori alla loro fondazione, anche se gli studiosi del '700-'800 vi hanno riconosciuto vichi o ville.località ospedale di S. Giovanni (Ciciliano) sono stati scoperti nel 1948 i resti del piccolo municipio di Trebula Suffenas ascritto alla tribù Aníense; lo ricorda Plinio insieme a Tibur (Nat Hist. III, 107), patria dell'illustre famiglia senatore dei Plautii Silvani. Sorto in una località già frequentata nell'età del Ferro e forse preceduto da un oppidum fortificato sui colli vicini, si concretizzò urbanisticamente presso un importante nodo di traffico e transumanza della via Empolitana (passo della Fortuna) che da qui si dirama verso la Valeria e i monti Ruffi.

passo era un importante santuario del IV-III sec. a.C. noto solo dai materiali dispersi di un deposito votivo. L'abitato ebbe una certa vitalità solo in età imperiale, quando vennero costruiti i principali edifici pubblici e divenne il centro politico ed economico della locale popolazione dei
Suffenates (a margine del territorio degli Equi). Si tratta di un artificiale processo di monumentalizzazione, imperniato su famiglie e gruppi sociali legati all'imperatore, che a partire dall'età augustea investe molti centri del Lazio appenninico i quali, a romanizzazione avvenuta, rischiavano di scomparire. A Trebula Suffenas sono stati scoperti una modesta arca forense racchiusa in un muro in opera quadrata di tufo, abitazioni separate da strade lastricate e un edificio termale di epoca Antonina da cui proviene il bel mosaico con il mito di Frisso ed Elle ora a Villa d'Este. Esisteva anche una sebola del collegio degli Augustales dedicata nel 14 d.C. Sotto la strada, che ascende al monte Spina Santa, è visibile una preesistente costruzione in opera incerta che sostiene cisterne . Nell'area archeologica (oggi inclusa nel giardino della villa Manni) sono raccolti frammenti scultorei ed epigrafici di estrema importanza per la storia del municipio. L'intero gruppo dei Prenestini era circondato ad anello da una serie di villae rusticae che individuano la fascia pedemontana interessata da attività agricole; delle più antiche rimangono solo aree di materiale edilizio difficili da identificare, mentre di quelle del II-I sec. a.C. si conser vano cospicui resti. Possiamo distinguere per versanti. Su quello Nord, lungo il torrente Empiglione risalito dalla via Empolitana, sono scaglionate varie ville terrazzate. Le principali sono sulla costa di S. Felice e a colle Zingarello (S. Gregorio) rispettivamente con cisterna a due navate ed elementi del torculare e con terrazzamento sormontato da un ambiente circolare (ninfeo?). Una a quota 350 della Spina Santa (via Empoli- tana, km. 9,500) è stata scavata nel 1946 : si compone di una piattaforma rettangolare con vani voltati ai lati e un ambiente centrale fra due nicchie sulla fronte . A quota 810 del colle Zappacenere si trova un'altra villa scavata nel '700 per recuperare i corpi dei santi Silvia (Anicía Probina, madre di S. Gregorio) ed Eustachio, che si ritenevano sepolti nel luogo ove veniva ubicato il monastero di S. Silvia . Furono portati alla luce la terma della villa, stanze decorate con pitture e mosaici e un articolato impianto idraulico di cui rimane però incerta la trasformazione in convento. Attualmente emerge solo un rudere con cisterna (11 sec. d.c.), ricovero di pastori, detto «Torre» o «Specola» . Non si conoscono invece per il celebre santuario mariano della Mentorella resti anteriori alla chie- sa attestata nel 984 e restaurata nel XIII secolo, da riferire, se non all'oratorio costruito dal soldato Placido (S. Eustachio) dopo la sua conversione in età traianea, alla chiesa consacrata sotto Costantino da papa Silvestro, ove sostò S. Benedetto. Altre ville si susseguono lungo il versante Est del Parco, segnatamente fra Ciciliano e Pisoniano sotto l'alta scogliera della Mentorella. Superati i resti del medioevale vicus S. Valeiii e della chiesetta di S. Magno, la mulattiera pedemontana tocca la c. d. villa dei Pisoni (attribuzione erudita), di cui affiorano un terrazzamento poligonale e una cisterna doppia . Lungo l'intero versante da Pisoniano fino a Genazzano correva un antico asse viario identificatile con la strada Praeneste-Treblis (= Trebula Suffenas), riportata nella Tabula Peutingeriana, che si staccava dal prolungamento della Prenestina dopo Cave (S.S. 155) e proseguiva fino a Carseoli . Il tracciato è rispecchiato dall'attuale Empolitana I che passa per S. Vito e che prima di scendere a Genazzano serve una grande villa al convento di S. Pio, già identificata nell'Ottocento con la villa prenestina di Tiberio; conserva le costruzioni e la cisterna a due ambienti voltati (lungo la stradella dei Cavoni). Nel 1910 vi si scoprì un pregevole mosaico policromo (Museo Nazionale Romano) . Numerose altre ville sono scaglionate presso Genazzano (alle pendici di colle del Pero in evidente collegamento con la Prenestina, la quale ha dato origine al densissimo popolamento dei dolci rilievi verso il Sacco); non superano i 500 metri di altitudine, essendo l'area a quota superiore riservata alla pastorizia e alla silvicoltura, attività che potevano essere controllate dalle stesse ville, trovando un utile integrazione con l'economia agricola. Agli insediamenti di sommità vanno attribuiti i percorsi che ancora oggi assicurano i collegamenti da Palestrina- Castel San Pietro verso Rocca di Cave, Capranica, Guadagnolo e Casape-S. Gregorio. Una strada più importante, con tratti costruiti e basolato, univa Castel San Pietro Romano al sito di Poli . Numerosi cunicoli di drenaggio sono stati segnalati nella enclave di colli fra Cave e Palestrina, da cui un divertimento si sarebbe diretto a Rocca di Cave (quota 933), ove però non si conoscono presenza antiche . Nella stretta valle Cannacceti, a Nord-Est di Palestrina, è stato recentemente segnalato un tratto di antico acquedotto lungo il fosso significativamente denominato «delle Forme». Lo speco, alimentato da una delle tante risorgive sulla sponda destra, è realizzato in lastre e bozzette di tufo, sostenuto da un muro poligonale. Subito attraversa con un ponte un vicino affluente del fosso e si dirige verso Praeneste, ove doveva terminare in una piscina limaria. Si tratta sicuramente dell'antico acquedotto della città, i cui resti appaiono riutilizzati.

Le ville di nuovo si addensano vicino a Poli. La più spettacolare è quella sulla punta Nord di colle Corvia contraddistinta da un'ampia spianata rettangolare risparmiata dalla macchia e cinta da muri a secco, con una lunga cisterna (m. 53) detta «Grotta del Mortale». Altre ville sono a casale Castruccio (eretto su una cisterna contraffortata), casali Cruci e Ferrini, la Mora, colle S. Angelo.
Rilevante, per la presenza nel Parco di ben nove centri storici di origine medioevale e di altri abbandonati, è la problematico dell'incastellamento . La popolazione agricola che durante l'alto Medioevo continuò ad abitare nelle ville del territorio, anche se si verificarono complessi fenomeni di destrutturazione e ristrutturazione dell'assetto romano, si ritirò a partire dal IX-X secolo entro le mura di numerosi villaggi fortificati. Molti, soprattutto quelli sulle alture più interne al massiccio, scomparvero fra il XIV e il XV secolo assorbiti dai centri periferici in più comoda posizione, che oggi costituiscono la cintura di paesi da Ciciliano a S. Gregorio. Fra quelli scomparsi ricordiamo la Rocca d'Ilice o Rocchetta (1005) e la Morella (metà sec. XIII) sopra Ciciliano, il
Castrum Novum a Capranica Vecchia (1157), Monte Manno (metà sec. XIII) . 1 loro ruderi, che si innalzano pittoreschi fra la vegetazione, non avendo subito le massicce trasformazioni che si verificarono nel tardo '400-'500 con l'introduzione delle armi da fuoco, si prestano allo studio tipologico dei primi castra: essenzialmente una cinta dotata di torri, che si adatta alla conformazione del colle, e un maschio centrale in forma di torrione. Con gli interventi successivi quest'ultimo diventa il palatium del signore del luogo, e alla cinta si aggiungono corpi separati, torri circolari e bastioni. Quella che era la piazza d'armi viene occupata da nuovi edifici o si trasforma in giardino pensile. Porte e finestre vengono ridisegnate secondo il gusto rinascimentale o adattate alla nuova tecnica guerresca. Completamente trasformati in palazzo-residenza sono i castelli di Genazzano (interventi dei Colonna) e Poli (palazzo Conti) . Altrove la formazione del borgo ha invaso anche l'area del castello sottraendogli, con l'inserimento nel contesto urbanistico, il carattere difensivo ed eminente (Casape, Capranica) . Begli esempi di castelli che hanno conservato la fisionomia originaria sono quello di Castel San Pietro Romano (bastione inferiore rialzato dopo la distruzione del 1438) e soprattutto quello di Rocca di Cave rimasto isolato, per la natura impervia e sassosa della sommità, dal borgo circostante.

E’ a pianta di esagono irregolare (perimetro m. 110) con ingresso arcuato volto ad Est e torri quadrate agli spigoli; all'interno sono la chiesa di S. Pietro e un torrione circolare (diam. m. 27) che sopravanza la cinta muraria . Il tutto realizzato in una perfetta cortina a bozzette rettangolari di calcare, simili a quelle della rocca di Castel San Pietro, che si datano in genere al XII-XIII secolo. Con l'affermarsi dell'incastellamento i monti Prenestíni, più della zona intorno a Palestrina che conservò sempre un certo popolamento sparso, vivono una fase storica nuova. L'antico paesaggio agricolo-pastorale viene riplasmato ed egemonizzato dai
castra, che presto avocheranno intorno a sé la popolazione rurale; la viabilità di età romana viene selezionata e integrata in base ai nuovi capisaldi e anche le attività agricole si trasferiscono in quota determinando quell'esiguo hinterland coltivato che ancora oggi, insieme ai pascoli, distingue i paesi dal contesto boschivo. Proprio la fascia pedemontana delle secolari ville romane subisce invece l'avanzata della selva; intorno al X secolo di esse non restavano altro che miseri avanti utilizzati all'occorrenza come cava di materiali.

per gentile concessione dell'autore. Maggio 2009


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